Cappella di Sant’Uberto
Realizzata tra 1716 e 1728, la Cappella di Sant’Uberto voluta da re Vittorio Amedeo II è uno dei capolavori di Filippo Juvarra. L’intitolazione al santo patrono della caccia si lega al tema della residenza venatoria.
La grandiosa struttura presenta una pianta centrale, organizzata su una croce greca smussata con abside e quattro cappelle circolari disposte lungo le diagonali. All’interno, i giochi di volumi dipendenti dalla pianta furono studiati in relazione ad una luminosa monumentalità. Gli spazi sembrano scolpiti dalla luce, che si rifrange sulle superfici decorate a stucco e scandite da un’intelaiatura di pilastri corinzi, tra i quali si aprono nicchie sormontate da coretti. Non fu realizzata la cupola progettata inizialmente, sostituita da un trompe l'oeil affrescato dal pittore Giovanni Antonio Galliari.
L’apparato scultoreo anima la scenografia architettonica. Nelle nicchie dei pilastri, in corrispondenza della crociera, quattro monumentali statue rappresentanti i Dottori della chiesa furono scolpite dal carrarese Giovanni Baratta tra 1726 e 1728. La complessa macchina dell’altare maggiore, con sculture dello stesso artista, fu concepita in marmi colorati in stretta relazione con il finestrone posto in corrispondenza del tabernacolo. L’altare maggiore e i due laterali furono preventivamente progettati con strutture in legno in scala 1:1, messe in opera dallo scultore Carlo Giuseppe Plura nel 1721 e in seguito riutilizzate come altari veri e propri per altre sedi (alla Madonna della Neve e san Massimo di Agliè e alla parrocchiale di Pinasca in val Chisone). Per gli altari laterali, le quattro grandi pale furono realizzate tra 1721 e 1726 da rinomati artisti forestieri. Esse raffigurano la Vergine accompagnata da diversi santi: nella tela di Francesco Trevisani si riconoscono san Luigi IX re di Francia e il beato Amedeo di Savoia; in quella di Sebastiano Ricci, l’arcangelo Gabriele con i santi Eusebio, Rocco, Sebastiano; negli altari minori, le opere di Sebastiano Conca mostrano la Madonna rispettivamente con san Francesco di Sales e san Carlo Borromeo. Negli anni Sessanta, le pale furono temporaneamente trasferite presso l'Aula Magna dell'Università degli Studi di Torino, per salvarle dal degrado in cui versava l'intera Reggia prima degli imponenti restauri e della riapertura al pubblico.